lunedì 2 gennaio 2012

Roma: protesta kurda a S. Pietro

Martedì 1 gennaio 2012 si è tenuta una breve manifestazione dei kurdi del centro Ararat in piazza San Pietro a Roma, di fronte alla Basilica gremita di turisti: un grande striscione recava la scritta: “Fermiamo il massacro dei kurdi in Turchia”, ed è stato distribuito il volantino riportato qui in calce.

Protestiamo contro il massacro della popolazione civile kurda in Turchia
Vogliamo esprimere alla popolazione italiana il nostro lutto e la nostra protesta, come kurdi che vivono in Italia, per l’orribile massacro effettuato nella sera di mercoledì 28 dicembre dall’aviazione militare turca. Alle ore 21,20 circa, nel villaggio kurdo di Roboski (Ortasu in turco), a pochi chilometri dalla città di Uldere, in provincia di Şırnak, in Turchia, non lontano dal confine iracheno, 36 abitanti, quasi tutti giovani tra i 12 ed i 20 anni, sono stati uccisi dal bombardamento effettuato da F-16 dell'aviazione turca su precedente segnalazione di Droni senza pilota.Un gruppo di una quarantina di persone (di cui solo 3 sono poi sopravvissute) era partito dai villaggi di Ortasu e Gulyazi dirigendosi verso il confine con l’Iraq. Era stato fermato da alcuni soldati durante il tragitto e poi bombardato dagli F-16 verso le 21,20.
I sopravvissuti hanno raccontato che trasportavano barili di benzina per contrabbandarli, cosa molto comune in quella zona. Le vittime sono state arse e sfigurate dalle esplosioni; un contadino che è scampato all’attacco aereo, rimanendone ferito, ha raccontato che le bombe hanno risucchiato l’aria rendendola irrespirabile, hanno sparso un odore acro e bruciato i corpi. Altri contadini che hanno trovato riparo sotto una grande roccia sono stati schiacciati dalla roccia stessa. Un altro contadino ha detto che i soldati li hanno radunati proprio qualche minuto prima dell’attacco e portati via.
L’Alto Comando delle forze armate turche ha dapprima cercato di “giustificare” l’orribile massacro di Uludere lamentando che sarebbe stato impossibile sapere se i civili uccisi dagli aeroplani fossero veramente abitanti oppure guerriglieri del PKK, in quanto il PKK spesso usava questa area per valicare il confine. In realtà coloro che sono stati colpiti non erano guerriglieri del PKK ma paesani che cercavano di sopravvivere grazie al contrabbando di taniche di gasolio a buon mercato e sigarette trasportate dall’Irak attraverso stretti passi montani valicati a dorso di mulo. “Il contrabbando – ha detto il parente di una delle vittime – è l’unica fonte di guadagno che abbiamo”. In quella zona spesso non c’è altro lavoro possibile, a causa della dura situazione di miseria, guerra e fame dell’ultimo trentennio. La guerra e la repressione dello Stato turco, che ha disseminato mine in tutta la zona di confine, hanno reso quasi impraticabile l’allevamento del bestiame e l’agricoltura che erano le uniche risorse della regione.
Il massacro è avvenuto con l’impiego di Droni, cioè “Aeromobili a pilotaggio remoto” forniti dagli Stati Uniti alla Turchia. Tali velivoli già in passato si erano rivelati pericolosissimi, ed avevano spesso provocato la morte di civili del tutto estranei ai conflitti.
Questo massacro non è che un episodio dell’inasprimento della repressione contro il popolo kurdo voluta dall’attuale governo turco AKP di Erdogan, che continua a rifiutare ogni proposta di dialogo per una soluzione pacifica, democratica e negoziata della Questione kurda.

Chiediamo all'opinione pubblica internazionale e alle istituzioni:
- di condannare il massacro sistematico del popolo curdo da parte dello Stato turco;
- di lanciare un appello per far cessare il sostegno militare offerto alla Repubblica turca in particolare dagli USA e dall'Unione Europea, e per congelare le relazioni politiche ed economiche;
- di lanciare un appello per giudicare la Repubblica turca in un tribunale internazionale per i diritti umani per i crimini di guerra che ha commesso;
- di lanciare un appello all'Unione Europea e alle Nazioni Unite per costituire una commissione di inchiesta sull'incidente nel villaggio Roboski.

Roma, 1 gennaio 2012
Centro Culturale Kurdo “Ararat” di Roma

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